Il primato dell’azione – fenomenologia dei possibili

Con il principio di entropia (secondo principio della termodinamica), <<[..] il calore stesso tende a ripartirsi in maniera uniforme tra i corpi. In questa forma meno precisa […] si affranca da ogni convenzione; è la più metafisica di tutte le leggi della fisica; perché ci indica, […], in quale direzione va il mondo>> Henry Bergson

Con un esperimento mentale tento di descrivere un’ipotesi sulla condizione umana nel mondo.

Io esisto, per riferirmi ad un concetto heideggeriano, sono gettato nel mondo, con tutto ciò che implica: le mie emozioni, i miei pensieri, le mie azioni, le mie interazioni, tutti elementi che costituiscono la mia azione, il mio scopo nel mondo e le mie intenzioni orientate verso un obiettivo. Quando tento di raggiungere quell’obiettivo, ovviamente, realizzo azioni per cui quell’obiettivo risulti per me raggiungibile. Nel momento in cui tento di avvicinarmi al mio obiettivo (la costruzione del mio esistere), mi rendo conto (o ingenuamente forse no), che la realtà è molteplice, ovvero che ci sono tanti fattori, cose ed eventi che abitano la realtà, quindi anche nella mia realtà, ovvero le cose ed eventi che a me sono più prossimi, in quanto tali, si possono frapporre durante la strada tra me e il mio obiettivo. Ci sono, però, anche realtà ed eventi che sono prossimi al mio stesso obiettivo. Insomma, in questa vita, dobbiamo fare i conti con altri eventi.

Il mondo, così com’è, abitato dalla molteplicità con ogni sua sfumatura, è perfetto, perché è completo. Il mondo è perfetto perché c’è di tutto, nel bene e nel male (bene e male sono comunque giudizi di valore basati sulla nostra aspettativa). Ogni cosa ed evento, quindi, è costituito dal suo opposto che lo abita. Un evento nella realtà così complessa e completa ha infatti la stessa possibilità di realizzazione; gli eventi rivelano quindi la loro natura isotropa, nel bene e nel male. Noi, gettati nel mondo, accogliendo quegli eventi che potrebbero aiutarci a raggiungere il nostro obiettivo, facciamo una cosa naturale, agiamo. Quando agiamo, però, dobbiamo essere consapevoli che le nostre azioni, per il solo fatto di essere tali, per il fatto di essere agite, in una realtà, come abbiamo visto, molteplice e complessa, possono attirare anche eventi che ci possono impedire di raggiungere il nostro obiettivo. Ci possono essere eventi e dinamiche che possono anche farmi raggiungere l’obiettivo, ma in un modo in cui non avevo nemmeno immaginato, come si possono presentare eventi e dinamiche che possono aprirmi occasioni e darmi spunti per raggiungere l’obiettivo in modo differente da come lo avevo pensato (differente dalla mia aspettativa).

Nel momento in cui abitiamo il mondo (viviamo), concentrando lo sguardo solo sul nostro obiettivo, sviluppando un attaccamento a questo, senza considerare che questo mondo sia abitato da tante realtà ed eventi, ci chiudiamo in una visione soggettiva della realtà (relativa), di conseguenza la percezione che abbiamo di essa è caotica. Nella visione relativa non consideriamo l’intera dinamica della realtà nella sua complessità, non consideriamo l’insieme. L’umano, ontologicamente, scopre di non essere il centro del mondo, bensì vive l’essere parte del mondo e, in quanto tale, in interazione col mondo, all’interno delle sue dinamiche in quanto il soggetto è parte di questo mondo, delle dinamiche stesse di cui non è semplicemente all’interno (come se ne potesse uscire arbitrariamente), ma è il soggetto agente delle dinamiche che, per il solo fatto di agire, è già dinamica in interazione, ovvero è già testimone del primato dell’azione.

Il primato dell’azione infatti è l’intenzione che è azione (fenomenologica) e che porta con sé, gravitazionalmente, ciò che circonda la nostra stessa azione; questa azione, proprio perché è tale, fa attivare le realtà e gli eventi, quelle stesse realtà e quegli stessi eventi che potrebbero sia agevolarmi per il raggiungimento del mio obiettivo, sia impedirmi il suo raggiungimento, sia raggiungere il mio obiettivo in un modo da me non ancora immaginato o, addirittura, cambiare il mio obiettivo. La realtà, quindi, si attiva nelle maniere più disparate, tra l’altro il nostro agire, non è un agire lineare, bensì il nostro è un errare, ovvero un viaggiare per tentativi. La statistica ci viene in soccorso per farci capire come procediamo nella vita. Il concetto di ottimizzazione stocastica ci fa capire il modo in cui la natura stessa si evolve, ovvero per tentativi, a seconda di come riesco a mettere il passo verso la direzione giusta. Noi, come specie umana, possiamo immaginare gli scenari possibili di evoluzione per orientare la nostra azione e fare, poi, un passo, ma se vediamo che questo passo è stato messo in un contesto e una direzione che non mi fa evolvere ulteriormente, dove è possibile, possiamo fare un passo indietro e rifare un altro passo verso un’altra direzione. Tutto questo chiarisce l’idea di essere gettati nel mondo, nella sua molteplicità, di avanzare per prove ed errori, l’dea di essere orientati ed avere un’intuizione di quella che potrebbe essere l’azione giusta a scapito di un’altra; questa intenzionalità ed orientamento anticipatorio (intuizione), sancisce il primato dell’azione.

Viviamo il primato dell’azione, perché l’azione è già idea in quanto è intenzione, quindi l’idea è azione perché è intenzione per il fatto stesso di essere già azione. Tra l’altro l’intenzione-azione crea convinzione. Noi esistiamo perché agiamo, è questo il primato dell’azione. È l’dea-azione-intenzione che sancisce chi siamo, per cui, in una dinamica di questo tipo, è evidente che ogni soggettività è testimone indelegabile del proprio tempo, in questo contesto, in questa realtà che è qui ed ora.

 

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